Il vero Design – non lo stile o il ridisegno di un oggetto per aumentarne il prezzo – è la capacità di vedere con occhi acuti la contemporaneità e darle veste e forma. Cambiano i tempi e cambia il design.
Il design degli anni Cinquanta-Sessanta ha mutato i gusti delle persone e ha dato una forma al desiderio di cambiamento del dopoguerra. Sia nel settore della casa, che in quello dei trasporti, i designer che consideriamo maestri avevano trovato nella febbrile attività di Milano il loro habitat ideale, nella collaborazione con aziende intelligenti la possibilità di farlo concretamente. Attraverso gli oggetti che hanno popolato le nostre case – colorati, leggeri, ironici – hanno modificato il paesaggio interno delle abitazioni. La scoperta del tempo libero di massa, della possibilità di spostarsi con la 500 o con la Vespa, togliere i mobili pesanti dalle case, le tappezzerie e i tappeti, cambiare le luci e gli elettrodomestici sono stati fenomeni diffusi, interpretati mirabilmente dal design dell’epoca.
Il design ha sempre avuto una forza eversiva, una capacità di innovare quanto stratificato e stereotipato: non può esistere se non come interprete di segnali di cambiamento. Il design si è evoluto e ha preso nuove forme; il design di oggi non è stilismo, ma è individuare le forme di nuovi modi di porsi in relazione. Il design di oggi ha aperto il proprio campo di azione. Nel Dipartimento che dirigo abbiamo undici linee di ricerca, che esplorano teoria e pratica del design della comunicazione, della moda, del prodotto industriale, degli interni, della valorizzazione dei beni culturali, dell’ergonomia, solo per citarne alcuni. Nessun antagonismo quindi tra il design degli anni d’oro e quello contemporaneo: il design contemporaneo ha valore in quanto radicato nel primo, ma sarebbe già morto se non fosse in grado di evolversi e di trovare sempre nuovi linguaggi e nuovi campi di azione.