L’INTERVISTA

Parla Philippe Gonzalez, il creatore di Instagramers, la community degli utenti della popolare app per smartphone: 280 gruppi in tutto il mondo, una trentina in Italia. Le incompresioni con la società, recentemente acquistata da Facebook di SILVIO GULIZIA

Instagram è molto più della fotografia è comunicazione, siamo tutti fotoreporter

PHILIPPE Gonzalez è il creatore di Instagramers, un movimento di appassionati di Instagram che ha contribuito a trasformare l’app e la cosiddetta iPhoneografia, le foto scattate con l’iPhone, in un fenomeno di massa. Lo abbiamo raggiunto via Skype mentre si prepara per l’InstaMeet di Torino che il 22 settembre vedrà il popolo degli instagramer italiani ritrovarsi per il secondo evento nazionale, oramai sdoganati dalla recente esplosione di Instagram a seguito dell’apertura al mondo Android (prima era un’esclusiva dell’iPhone) e all’acquisto da parte di Facebook. Oggi Instagram ha quasi 90 milioni di utenti in tutto il mondo e i gruppi di Instagramers sono 280, di cui una trentina in Italia. ” Il vostro Paese è quello che organizza gli eventi migliori e lancia quelli più creativi”: ecco perché Philippe non mancherà. L’Italia insieme a Spagna e Inghilterra è fra le nazioni con i gruppi più attivi, dopo gli Stati Uniti e insieme a Brasile, Messico, Filippine e Venezuela. Philippe è un single di 45 anni, ha origini francesi, ma oramai da 17 anni vive a Madrid, dove lavora come social media manager per una tv. Nel 2001 ha fondato una rivista di auto on line, che ha venduto dopo un anno e mezzo guadagnando abbastanza perché ora i soldi non rappresentino più un problema per lui e così può girare il mondo con il suo progetto.

Prima ancora di diventare una comunità Instagramers era il suo blog.
“Me

ne stavo a letto una domenica mattina sfogliando le foto di Instagram. L’app era uscita da poco più di un mese e io l’avevo scoperta durante un viaggio in Thailandia e mi ero appassionato. Mi sono imbattuto in una discussione su come far diventare popolare una foto e ho buttato giù dieci idee attingendo dalla mia esperienza nei social media. Il riscontro è stato così positivo che mi sono alzato dal letto e messo al computer senza neppure far la doccia. Ho creato l’account @instagramers e scritto cinque post su Instagram in spagnolo. Il giorno dopo ho detto ai miei colleghi che volevo creare una pagina su Facebook e loro mi hanno invece suggerito di iniziare un blog, offrendosi di darmi una mano con logo e grafica”.
 
Come sono nati i gruppi locali di Instagramers?
“Nel dicembre del 2010 organizzammo il primo evento. A febbraio dello scorso anno una ragazza di Madrid e una di Barcellona mi chiesero quasi contemporaneamente se potevano aprire dei gruppi locali e da lì nacque tutto. Un mese dopo Instagram lanciò ufficialmente gli Instameet e in aprile nacque Instagramers Italia“.

Però poi ci sono stati dei problemi nei rapporti con Instagram. Cos’è successo?
“Mi chiusero l’account dopo due mesi, quando @Instagramers aveva raggiunto i cinquemila follower. Sono stati sgarbati e mi hanno detto che il nome era troppo simile al loro. Ho pensato di smettere, ma poi ho deciso di continuare per dimostrare a quei quattro ragazzi di San Francisco che una comunità è più forte di un’azienda. Ho creato l’account @igers, un diminutivo ora usato da tutti gli utenti di Instagram spesso senza saperne l’origine. Adesso abbiamo un contatto diretto con Instagram e ci scambiamo delle mail di tanto in tanto. Credo però che abbiano dei sospetti circa i miei piani e cosa Instagramers potrebbe diventare e forse per questo non ci offrono un supporto vero”.

E quali sono i vostri piani?
“La nostra missione è aggiungere valore a Instagram. Può accadere organizzando Instameet, trovando sponsor per organizzare eventi, lanciando contest, scrivendo consigli, allestendo mostre e soprattutto facendo capire che Instagram non è solo like e follower. Ora che loro hanno un proprio blog e ci sono diverse persone che dispensano consigli su come usare l’app, noi proviamo a fare cose nuove come promuovere i migliori utenti e l’impatto di Instagram nella società, sui brand e il social marketing. I 280 community manager dei gruppi locali sono tutti collegati a una rete privata: domani nessuno sa cosa può succedere”.

Quanto pensa che abbia contribuito il suo movimento all’esplosione di Instagram?
“Sarebbe stata un successo anche senza di noi, perché è stata capace di aggiungere valore alle foto. Grazie ai filtri spinge sull’ego delle persone cui fa credere di avere una creatività superiore. Noi abbiamo fatto un gran lavoro aggiungendo un aspetto culturale, organizzando mostre, concorsi, lavorando con i brand e dimostrando il valore di Instagram per il marketing e come strumento di comunicazione”.

Ha seguito la polemica sulla foto di uno dei feriti della sparatoria all’Empire State Building postata su Instagram e che alcuni siti e giornali hanno provato a comprare?
“Sì certo. Instagram è molto più della fotografia. È comunicazione. Con Instagram siamo tutti fotoreporter. Penso che se ci fosse stata Instagram ai tempi dell’11 settembre sarebbe stato tutto molto diverso. Avremmo avuto migliaia di persone intente a scattare foto senza sapere quello che stava realmente succedendo. Se è vero che una foto vale mille parole, Instagram vale molto più di Twitter”.

Cosa ne pensa quei fotografi che affermano odiare Instagram?
“I fotografi sono persone a cui piace avere il monopolio delle foto. Prima c’erano i fotografi professionisti e gli amatori con buone macchine fotografiche. Poi il prezzo di queste è sceso e gli amatori hanno cominciato a frequentare corsi serali. Alcuni hanno iniziato a definirsi fotografi e tutti si sono sentiti fotografi, così i fotografi professionisti sono entrati in crisi. La cosa peggiore era che la gente andava in vacanza con delle macchine fotografiche costose e che le aiutava a fare belle foto e gli amici le guardavano dicendo: “Wow, sei un grande fotografo!”. Con l’iPhone e con Instagram è successa la stessa cosa”.

Ha partecipato a diversi Instameet in giro per il mondo per aiutare la comunità a crescere anche a livello locale. Quanto ha investito in questo progetto?
“Ogni tanto c’è qualcuno che mi invita offrendosi di pagarmi il viaggio grazie a uno sponsor, ma è capitato solo un paio di volte. Finora avrò speso circa diecimila euro e 1.500 ore di lavoro, ma dei soldi non mi è mai importato”.

Perché l’ha fatto allora?
“Costruire una comunità internazionale è stata un’esperienza unica. Volevo fare qualcosa senza un capo a cui rispondere, senza gerarchie e senza doversi porre il problema dei soldi. Ci sono un sacco di persone che vogliono realizzare progetti con Instagram per guadagnare soldi. Io volevo solo aiutare gli amici”.

Usa ancora la macchina fotografica?
“Ne ho tre, ma durante il viaggio in Thailandia ho capito che non me le sarei più portate dietro, perché ho sempre l’iPhone con me e mi piace la sfida di fare belle foto con questo mezzo limitato. Inoltre, preferisco la naturalezza degli scatti non preparati”.

Normal
0
14