Editoria Si trasforma la rivista di architettura fondata nel 1961 da Piera Pieroni
Strategie Anche un percorso telematico che punterà su Internet come interlocutore privilegiato
C osa aspettarsi dal nuovo «Abitare», la storica rivista di architettura, design e altro fondata nel 1961 da Piera Pieroni che da giovedì torna in edicola in versione assai trasformata, per non dire praticamente rivoluzionata? Il numero della svolta è il 520, quello di marzo, un numero importante: quello che precede il Salone del Mobile di Milano, il primo della nuova era post-Boeri, il primo davvero con l’ impronta di Mario Piazza (anche se al neodirettore piace piuttosto parlare di «lavoro di gruppo»). Basta guardarla verrebbe da dire. O, meglio ancora, basta dare un’ occhiata alla copertina: uno scorcio di uno spazio dal grande passato (l’ Armory di New York, luogo di rappresentanza per il Settimo Reggimento della National Guard nonché simbolo dell’ American Aesthetic Movement) riletto con la lente della contemporaneità. Un’ immagine emblematica, dunque; il simbolo di una contaminazione riuscita «senza stravolgimenti». E non solo perché la ristrutturazione di questo edificio di fine Ottocento con tanto di vista su Central Park ( boiseries , tappezzerie, poltrone, animali impagliati, appliques dal sapore antico) è firmata da due modernisti celebrati come gli svizzeri Herzog de Meuron, ma anche perché (dal 2008) questo monumento storico ospita un residence-laboratorio-studio per giovani artisti e performer. Come quel Julian Crouch che appare proprio sullo sfondo della copertina del nuovo «Abitare» seduto al computer, tra cimeli del passato, icone high-tech e buste della spesa. Ecco così, nella foto di Iwan Baan, quello che sarà il nuovo «Abitare»: il simbolo di una realtà in continua evoluzione, architettura e design compresi, un mondo in bilico tra le grandi tradizioni, il bisogno di rinnovamento e le necessità quotidiane. D’ altra parte Piazza l’ aveva già annunciato nell’ editoriale di addio al passato, quello del numero di febbraio: la «sua» rivista avrebbe offerto una lettura meno glamour (escludendo di proposito certi palcoscenici privilegiati ma forse «troppo visti» come la Biennale di Venezia o il Pritzker) per raccontare un’ architettura in evoluzione e persino precaria, come precaria è la realtà di oggi. Ma il numero «520» sarà solo il frammento di un più generale percorso «multicanale e multimediale» che avrà come interlocutore privilegiato la Rete e che, dice Piazza, vedrà «la pagina web» come prima tappa del progetto architettonico («L’ essenziale è crederci davvero, come noi»). «Abitare» (nata in realtà come «Casa Novità», la denominazione attuale arriverà con il numero di giugno 1961) cambia allora strada. A cominciare dall’ editoriale: che stavolta non c’ è. Al suo posto, un ritratto in un interno milanese d’ epoca con Mike Bongiorno e Annarita Torsello, moglie del presentatore dal 1968 al 1970. Sormontato dalla scritta «Siamo pronti». Perché questa scelta? «È un invito a guardare oltre l’ apparenza. Per scoprire la posa da intellettuale di Mike e per scoprire che la moglie, quasi una creatura bidimensionale, è la vera protagonista del set: per scoprire un gioco di colori, il rosso e l’ arancio, che anticipa la moda di oggi. Ecco questo vogliamo: che i nostri lettori vadano oltre la superficie dell’ architettura come del design». Nessuno, comunque, dimentica il glorioso passato della rivista (acquisita nel 1976 da Renato Minetto che ne farà il nucleo dell’ Editrice Segesta poi entrata a far parte del gruppo Rcs nel 2005). E neppure le svolte impresse dai vari direttori (da Franca Santi Gualtieri a Italo Lupi a Stefano Boeri). Un passato da sempre diverso rispetto alle concorrenti «Domus» e «Casabella»: perché «Abitare» è stata da subito una rivista «borghese, radicale, milanese» (sono parole di Alessandro Mendini). Che voleva offrire «un’ enorme campionatura di stili di vita, di modelli spaziali, di percorsi»; documentare con precisione «l’ evolversi degli oggetti e del loro design» (sia che fosse il Pratone della Gufram o l’ Eclipse di Artemide). Da giovedì «Abitare» sarà innanzitutto una rivista più leggibile, più svelta, più informata. Che offrirà ad esempio a margine del servizio sull’ Armory una scheda con tanto di tempi, prezzi e modi del progetto. Mentre nel sommario ci saranno le indicazioni sulle possibili forme di lettura (narrativa, panoramica, informativa); e dei modi (dalla carta al web, da Facebook a Twitter). Con tanto «bianco» e di «spazi liberi» che mette in evidenza prima di tutto le immagini. Immagini che scelgono stavolta la via dell’ immediatezza, piuttosto che quella di una costruita raffinatezza (come nel caso delle galline che spuntavano dai cassetti nella fotografia di Oliviero Toscani per il numero 83, anno 1979). Immagini spesso scattate da telefonino o webcam. Pochi grandi nomi (con Herzog de Meuron ci sarà Koolhaas e il suo studio Oma), nessun intervento d’ autore («Chiamare uno scrittore o un poeta a parlare di architettura può essere un rischio. Si finisce per banalizzare») e un racconto giocato a sorpresa, come nel caso del servizio sulle metropoli viste da Google Maps. O nel caso di un casermone popolare di Parigi trasformato in spazio di lusso (il Bois-le-Pretre firmato da Frédéric Druot con Lacaton Vassal). O del Moma di New York con la sua mostra (fino al 30 luglio) dedicata al sogno americano del «dopo-crisi». Perché «Abitare» (che non ha perso la sua classica cifra radical e snob) non avrà più il compito di scoprire grandi talenti e nemmeno quello di fare spettacolo a tutti i costi (le archistar sono avvertite). Piuttosto quello «di essere una rivista ad alta densità, che sappia aggregare un nucleo di lettori forti». Naturalmente lettori multimediali e multicanali. RIPRODUZIONE RISERVATA
Bucci Stefano
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(13 marzo 2012) – Corriere della Sera