Marcel Wanders è un designer olandese, lanciato nel 1996 dal suo progetto Knotted Chair per Droog, oggi famosissimo autore di progetti per il suo studio di Amsterdam e per brand come BB Italia, Poliform, Moroso, Cappellini, Moooi e molti altri. Insomma dietro la sua aria un po’ stravagante (indossa sempre una collana di perle che ha disegnato personalmente) c’è un professionista a 360°. Il creativo si è cimentato anche nel campo della valigeria, disegnando per Fabbrica Pelletteria Milano i trolley Saint-Jacques.
Gli abbiamo chiesto come è nato questo progetto, ma non solo. Ecco le sue opinioni sui giovani, sull’arte, sulla rete…
Cosa pensa del continuo mix di oggi fra moda, arte e design, ha più vantaggi o svantaggi?
Capisco che ci siano scatolette che chiamiamo “arte”, “moda” o “design”. Personalmente ho deciso molto tempo fa che non sarei entrato in definizioni così limitanti. Mi sono scelto una scatola più grande e dentro ci posso mettere tutto quello che voglio. Inoltre non mi sento un artista e nemmeno mi definirei un designer, sono solo un uomo che fa delle cose che abbiano un valore per le persone.
Per esempio, un oggetto come il trolley Saint-Jacques è un prodotto di design perché è “smart”, è funzionale, tecnicamente corretto, insomma, dal punto di vista ingegneristico, è perfetto. In più è anche fashion perché è visivamente eccitante. Volevo disegnare un trolley che sposasse gli standard del mercato, l’alta qualità dei materiali, resistenti agli urti e insieme molto leggeri perché il peso è sempre più un elemento critico del bagaglio aereo, che fosse bello, divertente, che facesse venire voglia di riempirlo con i vestiti più belli. La soluzione è stata creare questo motivo fitto e tridimensionale, che rende la struttura ancora più forte e durevole contro i segni, perché il motivo stesso blocca l’espansione del graffio. Così nelle mie valigie un graffio non è un problema, entra a far parte dell’oggetto, che invecchia restando bello. In più in questo modo ridiamo importanza alla superficie degli oggetti, di cui avevamo dimenticato tutte le possibilità: per un secolo è stato ricercato solo l’aspetto liscio, lucido, levigato, nuovo.
Ci sono delle cose che ti ispirano nel lavoro, come film, persone, luoghi particolari?
No. Per me l’ispirazione viene da dentro, è come un fuoco. È sapere di voler fare qualcosa di valore, qualcosa di “romantico” per le persone, oggetti che le possano guidare verso un mondo più piacevole, organizzato in modo soddisfacente. Questa è l’idea che mi ispira e mi spinge a lavorare tutti i giorni.
Lavori con persone giovani? E che contributo danno al tuo studio?
Lavoro in uno studio con circa 30 persone, delle quali il 95% è più giovane di me, io ho 48 anni.
Le nostre relazioni sono molto positive: questi giovani designer rivestono delle posizioni che permettono loro di imparare da me e il loro contributo allo studio è molto importante. Sinceramente avrei difficoltà a lavorare con tanti creativi più anziani di me e magari con un capo che mi dica cosa devo fare. Per me è molto più logico lavorare in questo modo.
La crisi mondiale che stiamo vivendo ha un’influenza sul design?
Le persone sono sopravvissute alla prima ondata di crisi, perché non dovrebbero sopravvivere alla seconda? Anche se questa sembra più difficile da gestire, la gente mi sembra capace di reagire. Da parte mia continuo a fare quello che mi fa stare bene, che mi venga chiesto o meno, cercando di creare valore e qualità per il mondo.
In che modo internet ha cambiato il mondo del design?
La rete è importante in tantissimi campi, per il flusso di informazioni continue che offre. Dal punto di vista del business del design offre un sacco di opportunità di avere più oggetti unici e particolari e di trovare comunque i clienti ideali a cui venderli. Se per esempio fai un tavolo folle, incredibilmente pesante, difficile da trasportare e che costa 30.000 euro molto probabilmente il cliente non sarà il tuo vicino di casa. Grazie a internet puoi trovare almeno un acquirente: questa è un’importante possibilità per i designer.
Un altro aspetto è quello del “virtual design”, come ho battezzato l’idea di Droog design di mettere on line a disposizione di tutti oggetti bellissimi. Design pazzeschi che le persone di tutto il mondo possono vedere e mettere nel loro cuore, nel loro cervello, senza poterli però comprare. Questa cosa ha una potenza incredibile e sta diventando addirittura un problema, perché gli oggetti di design quotidiano, anche i migliori, sono banali e molto meno eccitanti in confronto a quelli virtuali. Il processo credo che sia inarrestabile, il virtual è favoloso, è “ispirante”, ma il design deve comunque continuare a creare oggetti che le persone possano godersi nella vita di tutti i giorni.