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GIORGIO LONARDI

Macché cinesi! I copiatori, almeno per quanto riguarda i mobili di design, sono in Italia. E hanno anche messo in moto una bella lobby, capace di manovrare con rapidità e accortezza nelle aule del Parlamento. Lo conferma l’emendamento presentato il 17 gennaio in Commissione Affari Costituzionali della Camera e successivamente infilato abilmente nelle pieghe del decreto mille proroghe. E lo certifica l’approvazione in tempi brevi dell’emendamento stesso sia da parte della Commissione Affari Costituzionali che della Commissione Bilancio. Un’operazione da prestidigitatori per un testo microspico di una riga scarsa con cui si prorogava di altri 5 anni il diritto alla copia dei prodotti di chiara fama creati prima del 2001.
Certo, si spera che il Senato, chiamato ad esaminare la norma, decida di abrogarla. Così come va registrata una levata di scudi senza precedenti da parte di Adi, Confindustria, Assarredo, Assoluce, Indicam, Fondazione Altagamma, Fondazione Valore Italia, Centro Studi Anticontraffazione, Cnac. Una protesta dura da parte di un mondo che si sente beffato dal fatto che «da 10 anni in Italia questi prodotti continuino ad essere copiati nonostante quanto stabilito dalle normative europee per la protezione del diritto d’autore per le opere di design con la Direttiva europea 98/71 già introdotta in Italia nel 2001».
Ad essere danneggiate, dunque, è la parte migliore del made in Italy. Ne sa qualcosa Gianluca Armento, direttore generale di Cassina, uno dei marchi di punta di Poltrona Frau Group. Ma soprattutto un’aziendasimbolo del design italiano. Fondata nel 1927 da Cesare e Umberto Cassina si tratta dell’impresa che già nell’Italia degli anni ‘50 fece da apripista all’industrial design. Dice Armento: «Purtroppo si sottovalutano i danni provocati dalla contraffazione all’industria e al nostro Paese. Non dimentichiamo che lo scorso 27 gennaio una sentenza della Corte di Giustizia Europea ha messo in mora l’Italia per la mancata applicazione della Direttiva».
Lui, Armento, è l’esponente di un’azienda che soffre da tempo la copertura offerta dalla politica ai “copiatori”. Emblematico il caso della “Collezione Cassina I Maestri” lanciata nel 1965 quando Le Corbusier, allora vivente, scelse proprio Cassina per la riproduzione di quattro modelli disegnati assieme a Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand. Si tratta di vere e proprie icone del design moderno come la famosa chaise longue LC4 o i divani LC2 e LC3. Ma anche dei pezzi forse più copiati negli ultimi 40 anni.
«E’ impossibile quantificare il danno che ci viene inferto — spiega Armento — a cominciare dal fatto che si tratta di copie che sviliscono il prodotto utilizzando materiali di cattiva qualità e una lavorazione poco accurata. E pensare che Cassina è l’unica azienda a possedere i diritti esclusivi mondiali della collezione “Cassina I Maestri”. Questi arredi sono protetti dal diritto d’autore che in Italia e in Europa prevedono la tutela per tutta la durata della vita del designer (o dell’ultimo dei coautori) e per i 70 anni successivi alla sua scomparsa». E allora? La difesa del copyright, ammette Armento, è un mestiere difficile, soprattutto se la politica rema contro un’eccellenza italiana. Certo, Cassina oltre a proteggere i suoi prodotti con «la qualità delle materie prime e con l’utilizzo di tecnologie d’avanguardia — precisa il direttore generale — riconosce ai designer e alle Fondazioni ufficiali le royalty su ogni prodotto venduto garantendo lo sviluppo della loro attività creativa».
Una scelta che unita ad alcuni elementi “immediatamente identificabili” impressi su ogni singolo prodotto come la firma degli autori, il nome del prodotto e il numero progressivo di produzione costituisce una garanzia per l’acquirente. La seconda linea di difesa è affidata agli avvocati («ma bisogna scegliere con attenzione perché le cause costano») e alla politica. La parola ora tocca al Senato.