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Il parco doveva circondare il sogno postmoderno di una Vicenza degli Anni Ottanta: un piccolo grattacielo, la torre Everest, condomini alti e moderni rispetto agli edifici dentro le mura. Una città nuova che doveva fare da apripista a quella storica, ma così non è stato. Il sogno si è infranto malamente, dopo una trentina d’anni. «Ora è tutto diverso – spiega Florio Cappon, presidente del Comitato di viale Milano e vie limitrofe – abbiamo combattuto contro gli immigrati arroganti, i loro negozi, i call-center. Contro lo spaccio in strada e, soprattutto, a Campo Marzo. Contro le risse, gli accoltellamenti, i litigi, la maleducazione. Ora di strada ne è stata percorsa, complice anche la crisi che ha fatto sì che molte attività chiudessero, ma anche i vecchi residenti si sono spostati, hanno scelto altre zone, altre vie. Più calme, tranquille. Adesso a Campo Marzo ci potrebbero andare gli anziani, se non avessero paura di essere scippati. Però, non hanno nemmeno una panchina dove sedersi. Anche molti cestini sono stati eliminati. Quando il sindaco di Treviso, Gentilin le fece togliere perché gli immigrati non si sedessero, scoppiò un caso nazionale. Qui le hanno eliminate per evitare che bande di immigrati continuassero a dividersi il territorio, a spacciare. Non so se questa guerra sia finita. Certo, qualcosa è cambiato, ma per riappropriarci di quel polmone verde serve solo più sicurezza. Se il cittadino la percepisse, non avrebbe difficoltà a tornare, a leggere il giornale sotto gli alberi, a passeggiare con qualche nipote. Ma evidentemente non la sente, ecco perché rispetto a più di cento blitz delle forze dell’ordine, serve una presenza costante dei vigili urbani che girino lungo il parco dalla mattina alla sera. Lo ripetiamo da sempre e sono convinto che questa sia la ricetta giusta. E poi – conclude Cappon – finiamola con le giostre lungo via Dalmazia. Sono sempre meno; se vengono spostate in periferia su un piazzale asfaltato fanno meno danni di quanti ne procurano adesso, dopo la ristrutturazione del parco, e poi è risaputo che non attirano solo bambini e famiglie, ma anche dell’altro. E rimettiamo le panchine come voleva il vecchio progetto». Possibilità, opportunità, prospettive c’è anche chi ne vede di più. C’è chi ha lavorato tentando di rilanciare un intero quartiere. «A volte non ci rendiamo conto – interviene Cristiano Seganfreddo, ideatore con altri professionisti di Monotono al civico 60 di viale Milano dove un capannone è stato recuperato e ripensato per accogliere attività ai confini tra l’arte, architettura e design a cui ci è aggiunto anche Cibic Workshop – e se guardiamo a città come Milano, Campo Marzo fa ridere, è una piccola area verde che, come in tutte le grandi città, può attirare anche spacciatori. Ma bisogna rimboccarsi le maniche: non bastano gli eventi isolati, concepiti a spot. Serve un’attività quotidiana, fatta magari di piccoli interventi che, però, permettono ai cittadini di uscire. Certo, molti residenti se ne saranno andati, ma altri nuovi professionisti sono arrivati ed hanno mogli e figli». Se l’ex area Domenichelli è in stand-by e potrà diventare il capitolo finale di un’evoluzione urbanistica, meglio focalizzarsi su idee e iniziative alla portata di tutti. «Certo, avevamo lanciato una serie di proposte all’ex assessore Ruggeri – prosegue Seganfreddo – la creazione di un centro d’incontro, l’affitto del terreno dietro a via Genova per farne degli orti per i residenti del quartieri e ancora concorsi, esposizioni. Ci si può spingere fino a Campo Marzo organizzando ogni domenica un evento, si parte dalla pulizia per finire con pranzo comunitario. Magari arrivano in dieci, però la domenica successiva aumenteranno. Non ci sono tante altre ricette per riappropriarsi di una zona: basta viverla, sapendo che è sicura. Sapendo che si può camminare, passeggiare e sotto questo punto vista molto è stato fatto».

Chiara Roverotto

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