«Il mio design sfida il tempo»
«Credo che se non avessi fatto il designer avrei venduto patate. Tutti mangiano patate, è un lavoro utile e redditizio. Avrei messo le migliori sul mercato», sorride Marcel Wanders, e come sempre scherza per semplificare la sua visione delle cose. Quello che il designer olandese lascia intendere è che un buon produttore, in qualunque campo, deve intuire quale sia la domanda e costruire così la sua offerta di qualità.
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«Il mio design sfida il tempo»
Ma in un momento di stallo per le economie occidentali, come fa un creativo che è stato corteggiato da tanti brand europei, specie italiani, a progettare il suo futuro professionale?
«Ho lavorato con produttori come Boffo, Moroso, BB Italia, Magis, Bisazza, ho sempre trovato negli italiani un gran rispetto per i sogni dei creativi. Il mio approccio è internazionale e sono convinto che quando si impara a declinare ogni progetto in base a una determinata vision, i mercati pronti ad accoglierlo si trovano».
La provenienza geografica dei suoi committenti sta cambiando nel tempo?
Sì, vedo crescere l’interesse per il mio lavoro in Asia e Medio Oriente.
Oltre alla capacità di spesa in crescita nelle nuove economie, crede che ci siano motivi culturali che portano oggi più lontano i designer europei?
Per quanto mi riguarda ho una spiegazione ben precisa. Le vecchie economie sono cresciute nella seconda metà del Novecento con un gusto plasmato dal modernismo del Bauhaus. La mia generazione di designer si è formata prendendo a modello quel tipo di rigore minimalista. Negli ultimi 15 anni io ho cercato di incidere nella rottura di quel pensiero unico proponendo sperimentazioni alternative. Le nuove economie sono spiriti liberi, non hanno i nostri preconcetti culturali, per questo mi attirano.
A proposito di sperimentazione, nel suo ultimo progetto Mermaids («Sirene»), che ha esposto al London Design Festival, ha combinato fotografia e design. Come si mixano campi diversi?
Ho voluto presentare alcune creazioni Moooi, la mia factory creativa, dentro set surreali. Ho fatto io le fotografie e poi le abbiamo lavorate con un grande editing digitale. Mi piace comunicare in modo forte le mie idee, voglio che le persone ne traggano esperienze. Questo è il mio obiettivo: che disegni mobili, lampade o che faccia fotografie. Mi piace costruire visioni alternative a quelle reali.
Il suo approccio è sempre ironico e dirompente. Ha mai pensato di cambiare completamente rotta?
Ho costruito la mia carriera su un tratto naturale che mi rendesse riconoscibile, ma contemporaneamente ho cercato di fare cose sempre nuove. Mi accosto alla creazione come se fosse uno scherzo. Lo scherzo è un evento, o un racconto, che sembra svolgersi in una direzione logica che tutti si aspettano, ma poi all’improvviso cambia direzione, stupisce e diverte. Questa è la mia ironia e non ho mai pensato di usare un approccio diverso benché cambi ogni volta la modalità dei miei ‘scherzi’.
Esiste per lei un trend nel design del futuro prossimo?
La durabilità. Produrre oggetti che restino nel tempo era ed è il mio primo obiettivo, ben più importante delle mode del momento. Credo che le persone cerchino cose che possano appartenergli per sempre. Solo in questo modo si supera il tempo.
Dunque è centrale il superamento della dimensione temporale degli oggetti?
Mi sento come un uomo che cammina tenendo per mano sua madre e sua figlia: cerco di unire il passato e il futuro. Credo che dovremmo superare la dicotomia vecchio=brutto e nuovo=bello. L’ho dimostrato ad esempio con la collezione di sanitari che ho presentato per Bisazza al Cersaie di Bologna il mese scorso. Ho unito forme vintage a concept nuovi. Per pensare al futuro dobbiamo rispettare e valorizzare il nostro passato.
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